sabato, maggio 05, 2007

Desencuentro - Tamango



Tamango nace en bajo una clara consigna: fusionar el tango de siempre con la realidad de hoy.

Odor di milonga - di manginobrioches

Diciamolo, ogni tango è un’esperienza sensoriale completa.
Udito, vista, tatto, gusto, odorato. Odorato. E lì casca l’ocho.
Chi non ha mai incontrato il famigerato Tanguero Aglio e Oglio? O il Tanguero della Forfora? O il Tanguero Epatico? O il Tanguero No Roberts, No Lyciapersona, No Breeze?
A quel punto, diventano irrilevanti il passo felino, l’inventiva e persino la sacada all’indietro: i tre minuti sono una prova di compostezza e rassegnazione femminile, un fioretto, un voto alla divinità beffarda del tango (immagino il dio del tango ineffabile, con un sorriso-non sorriso alla Gavito, occhi come temporali neri, sopracciglia come ali, un incarnato di magnolia, l’abbraccio di seta liquida)(e, ovviamente, un odore di gardenie nascoste e notti australi).

Uno dei miei tangueri preferiti fa odore di mare, e ha il passo – in effetti – come una risacca. Abbandonarsi a lui è necessario, anzi inevitabile. Non ricordo nemmeno un passo, ma ricordo esattamente quella bolla di mediterraneo profondo, di fondali sfiorati, di cerchi nell’acqua che il suo tango avvolgente e profumato sa evocare e disporre attorno a te.

Un altro ha un tango che mi piace molto, perché è nitido e rassicurante, con un abbraccio infinitamente comprensivo che fa odore di camicia appena stirata, di vapore in una stanza remota, con spighe di lavanda e cortesie antiche. E’ l’unico col quale indietreggio credendo di avanzare, che è il miracolo del tango delle donne, credo.

Conosco pure un tanguero perfettamente inodore, pure dopo chilometri di milonga. Resta per me un sacro mistero olfattivo (a ripensarci bene, però, anche il suo tango è inodore e insapore...).

Ahimé, ci sono purtroppo altri tangueri senza mistero alcuno: sappiamo subito cosa hanno mangiato, da quanto non fanno una doccia e se hanno litigato col deodorante.
Sappiamo se amano pietanze forti – per esempio broccoli affogati o peperonata con molto aglio (una volta ballai in mezzo a un diffuso odore di cotoletta, di quelle fritte col grasso di balena, che aveva impregnato la camicia, il gilettino e persino i capelli del ballerino, che per fortuna era alto due, tre metri e mezzo e mi consentiva un abbraccio cauto e lontano).
Sappiamo se amano bere – il che, a mio avviso, non ne fa veri tangueri: il tanguero non si fa mica distrarre dall’alcol.
Sappiamo se usano Denim, per l’uomo che non deve chiedere mai, ma soprattutto se lo usano dopo essersi lavati, o invece di essersi lavati.

Un tanguero che adoro escogita ogni volta profumi diversi sui suoi abiti da figlio del padrino (gessati, cravattone col nodo, panciotti, doppiopetto). Io lo annuso e gli dico: cos’è, questa volta? E lui fa un gesto lieve come per dire: figurati, nulla. E anche quel gesto, per me, è tango.

Invece ce n’è uno che continua a rivolgersi ai cinesi: le sue magliette acriliche da diabolik (qui cito felipelcid, che commentava più sotto il proliferare di diabolik alle milonghe, nella vana convinzione che il nero assottigli il corpo e ispessisca il mistero…) fanno quell’odore di filato abusivo, di pessima tintura nera (avete presente le maglie che perdono il nero anche dopo anni, anche se solo le prende la pioggia, anche se solo ci piangete su?), di scantinato che ogni volta mi dà i brividi. Lui pensa che sia il suo tango, a farmi rabbrividire, e mi chiede un’altra tanda.
Mi faranno santa, qualche volta.

tratto da tangoquerido
Métempsycose Isabel Camps Laredo Montoneri Gianluca Leone MicMac Giannicola Manuela Anania Sergio La Pigna

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