mercoledì, febbraio 06, 2008

"Dei delitti e delle pene" - Jean Fajean

Vorrei condividere con voi la lettera di Jean Fajean, direttore di "Tangueros Newsletter", riguardo alle milonghe di tutto il mondo. Credo che ci siano parecchi punti sui quali riflettere e dai quali prendere insegnamento per il futuro approccio con quel luogo dell'anima chiamato "milonga".

"DEI DELITTI E DELLE PENE

Quella del tango è una comunità di molta lagna: il rilevarlo non solo fa parte di ciò che vorrebbe denunciare, ma lo incrementa, per cui stavolta mi darò poco spago. E’ noto a tutti che il milonguero tipico è uno che si lamenta: dei prezzi delle milonghe, innanzi tutto, ma anche delle maniere dei suoi colleghi che proprio qui dentro dovrebbero, non si sa per quale miracolo, trasformarsi in buone. In misura non minore si rammarica del suono, delle emissioni dei disc-jockey e del ballo altrui, a cominciare da quello del compagno. Il piso poi è sempre lacunoso, le bibite solo acquatiche, il microclima illegale, il guardaroba non iscritto alla Siae. Come nella canzone di Tom Waits “The piano has been drinking”, per questo guastafeste non c’è mai niente che funzioni. Se la musichetta della tasca trova ovunque dei fans accaniti, l’ufficio Altri Reclami raccoglie solo petizioni sommarie.

A Londra vogliono regolare il traffico in pista con i lanes, le corsie, e magari i guardrail; a Roma propongono comitati etici e volantinaggi, cui seguiranno, immagino, ispettori, conflict managers e i Caschi Blu. A Milano ora c’è la moral suasion microfonica: l’altra sera, per la prima volta in venticinque anni di tango, ho sentito un esercente dire ai ballerini come dovevano ballare; e quel che è peggio, dirlo tra gli applausi degli sgridati.

Come le lamentatrici professionali di antica tradizione, molti deploratori del tango “piangon del mal che non li tocca”, quando meglio farebbero a lasciarsi toccare. Tra le alte querele non mancano neppure i cultori di malintesi, i burocrati del cabezeo “non invasivo” e dei codici vintage: alla mancanza di tatto costoro contrappongono l’abbondanza giuridica e la riesumazione di vecchie usanze.
In certe milonghe del Nord-Est arrivano a distribuire gli uomini da una parte e le donne dall’altra, come all’ospedale. Perché allora fermarsi qui e non affiancare alle orfane delle finte mamme minacciose? Perché non suonare i dischi con il Wilco e non ungersi la pelata con Glostora?

La realtà è che se in una milonga non c’è la danza, non c’è niente. O almeno niente per cui valga la pena lagnarsi. Ucciderne la tensione verso la bellezza e il sogno cocciuto di mondo abitabile “qui e ora”, è l’unico vero delitto.

Queste piste, nonostante tutto, sono luoghi di felicità pratica e condivisa, degli spazi liberati dal buon senso, dai regolamenti e dalla strombazzata “ragionevolezza” che hanno spinto molti di noi a varcarne le soglie, incuranti del babau della biglietteria.
Le sue quattro pareti specchianti, gli occhi da cui ci lasciamo guardare, ci restituiscono la verità su di noi, o meglio quella che ancora siamo capaci di incarnare. Il tango non la dice per intero, ma nemmeno riesce ad occultarla. E qui sta la pena."

Jean Fajean

The Tangueros Newsletter
n.64, anno IX, 1 febbraio 2008
direttore: Jean Fajean
news@thetqr.org
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