giovedì, agosto 02, 2007

Maria Plazaola Y Andres Laza Moreno

Il video è stato registrato presso "El Beso" nella prima metà del febbraio 2007 durante il raduno internazionale "milongueando" e riprende la Plazaola con Laza Moreno. Probabilmente è la prima esibizione di Maria dopo la morte di Gavito.


Un tangaso "Despues" bailado por Maria y el Bichy en "EL Beso"

Claudio Forte & Barbara Carpino, Quiero Verte Una Ves Mas


Capri Tango Festival 2007
dancers: Claudio Forte & Barbara Carpino
music: Quiero Verte Una Ves Mas

Alfonsina y el mar - Zamba


folclore argentino.
Ballet: Abriendo Huellas.
zamba: Alfonsina y el Mar.
bailada por Agata y Marcelo,Saladillo,Buenos Aires, Argentina.
Una hermosa version musical de Jairo, con letra de Felix Luna,
donde se refleja la tragica muerte de Alfonsina Storni

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Por la blanda arena que lame el mar
su pequeña huella no vuelve más
y un sendero solo de pena y silencio llegó
hasta el agua profunda
y un sendero solo de penas puras llegó
hasta la espuma

Sabe Dios que angustia te acompañó
qué dolores viejos calló tu voz
para recostarte arrullada en el canto
de las caracolas marinas
la canción que canta en el fondo oscuro del mar
la caracola

Te vas Alfonsina con tu soledad
¿qué poemas nuevos fuiste a buscar?
Y una voz antigua de viento y de mar
te requiebra el alma
y la está llamando
y te vas, hacia allá como en sueños,
dormida Alfonsina, vestida de mar.

Cinco sirenitas te llevarán
por caminos de algas y de coral
y fosforescentes caballos marinos harán
una ronda a tu lado.
Y los habitantes del agua van a nadar
pronto a tu lado.

Bájame la lámpara un poco más
déjame que duerma, nodriza en paz
y si llama él no le digas que estoy,
dile que Alfonsina no vuelve.
y si llama él no le digas nunca que estoy,
di que me he ido.

Te vas Alfonsina con tu soledad
¿qué poemas nuevos fuiste a buscar?
Y una voz antigua de viento y de mar
te requiebra el alma
y la está llamando
y te vas, hacia allá como en sueños,
dormida Alfonsina, vestida de mar.
Per la soffice sabbia lambita dal mare
la sua piccola orma non torna mai
e un sentiero solitario di pena e silenzio è giunto
sino all'acqua profonda
e un sentiero solitario di pura pena è giunto
sino alla spuma

Dio sa quale angustia ti ha accompagnata
che antico dolore ha spento la tua voce
per addormentarti cullata dal canto
delle conchiglie marine
la canzone che canta nel profondo oscuro mare
la conchiglia

Te ne vai Alfonsina con la tua solitudine
quali nuove poesie sei andata a cercare?
E una voce antica di vento e di mare
ti lacera l'anima
e sta là chiamando
e tu fin là vai, come in sogno
Alfonsina dormiente, vestita di mare

Cinque sirene ti condurranno
lungo il cammino di alghe e coralli
e fosforescenti cavallucci marini faranno
una ronda al tuo lato.
E gli abitanti dell'acqua ti nuoteranno
subito al lato

Abbassami un po' di più la luce
lasciami dormire in pace, tatina mia
e se chiama non dirgli che ci sono,
digli che Alfonsina non torna,
e se chiama non dirgli mai che ci sono
digli che me ne stò andando.

Te ne vai Alfonsina con la tua solitudine
Quali nuove poesie sei andata a cercare?
E una voce antica di vento e di mare
ti lacera l'anima
e sta là chiamando
e tu vai, fin là, come in sogno
Alfonsina addormentata, vestita di mare.

Alfonsina y el Mar
di Michela Fregona
Questa è la storia di un silenzio e di un addio. Una di quelle storie che il mare racconta soltanto quando è triste, mentre si avvicina l'autunno. In quelle sere, la luce fatica a spegnersi sopra l'impeto dei flutti e il vento batte forte le spiagge di questa isola lontana. Allora, mentre l'oscurità e la luna cercano di calmare, con la loro carezza, il sussulto delle onde, si può ancora vedere, quasi spinta sulla riva dal tepore caduco del giorno che se ne va, la sagoma di un vecchio, seduto di fronte alla distesa d'acqua. Infinita.
Ascolta, in silenzio, il racconto che il mare tesse nella sua memoria, e la trama dei ricordi bussa alle porte della notte insieme alle immagini sempre nitide di un passato che torna a scorrergli negli occhi.
E, forse, proprio perché questa è una storia che egli ricorda e che l'acqua racconta, sembra quasi che, tra i due, si dipani un dialogo fatto di silenzi e di eventi un tempo condivisi.
E' l'ora dei ricordi. Ricordi che hanno piegato la linea curva della sua schiena; plasmato la geografia fitta delle rughe sulla sua pelle scura; hanno nascosto definitivamente nell'ombra della sera il suo sguardo. Per quante stagioni era tornato a sedersi lì, sullo stesso tronco, saggiando con i piedi la medesima sabbia, davanti allo stesso specchio di mare? Non se lo ricordava più neppure lui. Neanche i suoi capelli, cui la luce della luna regalava uno strano colore azzurro, quasi un'eco impallidita di quel blu imperioso che le onde trascinavano a riva instancabilmente.
Era in quel blu, Alfonsina. In quell'acqua profonda che, per anni, aveva continuato a raccontare a lui - incredulo e impotente come in quel primo, lontano istante - la storia del suo addio.
Un tempo, certo, aveva aspettato il buio insieme a lei, in quella piccola casa battuta dal sole e dal vento, dove il profumo del mare si mescolava a quello della carta, dei libri e dell'inchiostro.
Scriveva Alfonsina. E la sua penna imprigionava i raggi del sole e il calore della terra per raccontargli carezze e baci rubati a quel tempo di felicità.
"Portami una conchiglia" gli aveva chiesto, all'alba del loro primo congedo. La testa piegata da un lato, i capelli sciolti, i piedi nudi nella sabbia: così lo aveva salutato, quella mattina, dopo aver percorso con le piccole dita i contorni della sua bocca.
Così, ogni pomeriggio, mentre diminuiva la distanza che li separava, la vedeva aspettarlo davanti alla porta. E il sorriso offerto, il profumo della sua pelle, il senso di attesa che lo pervadeva erano i doni quotidiani che lei gli regalava. Le cifre di quella felicità che lo aveva colto d'improvviso. Inconsapevole.
Ora, certo, se ne rendeva conto. Non allora, quando, stordito da quel suo sguardo, si era concesso di lasciarsi guidare più per curiosità che per consapevolezza.
E le aveva portato una conchiglia.
Ricordava sempre: il rumore delle onde, e quella frase. "Siamo conchiglie divise a metà - gli aveva detto - in tutto il mondo, ciascuno di noi ha un'altra parte di sé: un altro ventaglio fatto di sabbia e di mare che gli combacia perfettamente. E quando le due parti si ritrovano, non possono che ritrovare sé stessi, dentro gli altri".
Così, giorno dopo giorno, Alfonsina appendeva le sue conchiglie in quel piccolo patio fatto di travi che combattevano da tempo immemorabile una lunga lotta con il salso e il vento. Così, la voce del mare si univa a quella delle conchiglie per cullare le ore del silenzio e della felicità.
Ogni giorno l'incontro, ogni addio le stesse parole, che gli lasciavano il vuoto sgomento di un presagio non compreso: "E ora non mi tradire".
"Perché mi parli così, Alfonsina?" le aveva chiesto, quasi spaventato, in quel primo distacco lontano; ma lei aveva piegato la testa da un lato, come era solita fare, e gli aveva sorriso: "Tu lo sai" mormorava, mentre con le piccole dita percorreva ancora i contorni della sua bocca.
Quanto tempo era passato? Giorni, forse mesi. O anni, forse. Una intera età, fatta di albe e tramonti trascorsi a contare ogni minuto di separazione, accarezzati dalla sicurezza di una reciproca attesa. Istanti di eternità consumati nella fretta di un rincontro. Sapore di carta, profumo di vento e canto di conchiglie.
Sola, la piccola casa di legno aggrappata alla terra e contesa dalle onde era stata lo scrigno di tanti segreti.
Fino a quel mattino - lontano, anche quello, nel tempo, ma ora inciso perfettamente nella memoria. Rivissuto, anno dopo anno, con gli occhi rivolti al mare, da quella schiena curva e quei capelli bianchi di vecchio.
Nulla era successo, in apparenza. Nulla di diverso, eccetto quella dimenticanza cui non aveva dato peso. La prima volta, aveva ritardato di qualche minuto. Poi, a mano a mano che il tempo passava, i minuti erano aumentati: troppo seducenti le braccia del vino sincero dell'isola, troppo allegra la compagnia dell'osteria.
Troppa, soprattutto, la sicurezza di sapere Alfonsina sempre lì, nella sua casa di legno, pronta ad accoglierlo.
Come aveva potuto ignorare quel suo sorriso pallido, quel tacere di carta e di poesia, quell'immobilizzarsi del loro mondo, ripiegato sempre più nel silenzio?
Poi, in quel mattino bigio, lei non lo aveva più aspettato nel cuore delle stanze odorose: era uscita nella sabbia umida e dura, mentre il vento mordeva le caviglie.
A vederla così, scalza sul sentiero, ai confini di quell'ultimo ritardo, si era subito chiesto il perché di quello strano sguardo: occhi che sembravano pregare e scongiurare la conferma di una certezza. Per la prima volta, nessuna conchiglia da far cantare insieme alle altre. Per la prima volta, distacco e solitudine. E quel morso acuto del vento alle caviglie: la pelle di lei, pallida e fredda, quel domandarsi, smarrito e incosciente, da quanto tempo Alfonsina era rimasta immobile ad aspettarlo.
Se n'era andato con la sensazione di aver rotto qualcosa. Troppo forte, quel suo sguardo.
Poi, per lui, la carezza del vino, consolatoria nel fondo scuro dell'osteria. Dopo la fuga dai suoi occhi, aveva trascorso ore nella nebbia dell'inquietudine.
Raccontano che, ultime a vederla, erano state proprio le conchiglie, che avevano accompagnato cantando quel suo breve viaggio.
Scura, sulla terra bianca della sera, l'ombra di Alfonsina aveva compiuto i pochi passi che la dividevano dal mare. In silenzio, piccola macchia di dolore nero, aggrappata all'unica compagnia di una lanterna accesa.
- Per prima cosa il freddo. Il morso umido della sabbia bagnata sotto i piedi. Poi l'abbraccio del mare, onda senza ritorno -
Lontano, nelle profondità degli abissi, canta ancora Alfonsina la sua storia.
Dalla riva, ogni giorno, due occhi continuano a cercarla.
Métempsycose Isabel Camps Laredo Montoneri Gianluca Leone MicMac Giannicola Manuela Anania Sergio La Pigna

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