giovedì, agosto 31, 2006
Le Radici Africane del tango - di Giuseppe A. Restuccia
E’ noto che l’Argentina e l’Uruguay nacquero come colonie spagnole nel XVI secolo.
L’Argentina fu aggregata al Vicereame di un’altra colonia spagnola, il Perù, nel 1776, ma nel 1816 raggiunse l’indipendenza; l’Uruguay raggiunse l’indipendenza nel 1825, dopo una lungo conflitto contro i portoghesi del Brasile. A tutt’oggi, lo spagnolo è la lingua più parlata in entrambi i Paesi.( CONTINUA)
Il Rio de la Plata (in spagnolo: Fiume dell'Argento) è l'estuario formato dal fiume Uruguay e dal fiume Parana. Si estende in larghezza per circa 48 chilometri nel punto in cui i due fiumi si incontrano e per circa 220 chilometri nel punto in cui si affaccia sull’Oceano Atlantico; in lunghezza per circa 290 chilometri. Forma parte del confine tra Argentina ed Uruguay, con i porti principali di Buenos Aires, capitale argentina, a sud-ovest, e Montevideo, capitale uruguayana, a nord-est.
Il tango è una danza che nasce a Rio de la Plata intorno al 1880.
Sono sufficienti questi semplici dati storici e geografici perché non possa essere messa in dubbio la profonda influenza del cante jondo (antenato del flamenco) e in genere della musica spagnola sull’origine del tango.
Ma nel tango confluirono anche altri elementi: alla fine del XIX secolo, il Rio della Plata – e l’Argentina in particolare – furono interessati da una immigrazione multietnica di enormi proporzioni. La più parte degli immigrati giunsero dall’Europa. Infatti, il bandoneon, tipo di fisarmonica che, nel Novecento, sostituì il flauto come strumento guida, proviene dalla Germania; l’immigrazione interessò pure un numero assai cospicuo di italiani, che introdussero nel tango un forte gusto melodico di tipo melodrammatico.
Tuttavia, non tutti sanno della presenza nel tango di una componente, peraltro essenziale, di derivazione africana, ciò che è particolarmente evidente sia, sul piano tecnico-espressivo, nel rapporto fisico degli esecutori con gli strumenti musicali, sia nell’incedere ritmico, sia nei passi di quello che fu definito “un valzer licenzioso e rivoluzionario”.
La presenza di una nutrita comunità afroamericana in Argentina e in Uruguay a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo fu la conseguenza della deportazione in questi Paesi di schiavi provenienti dall’Africa subequatoriale. In Uruguay, la tratta degli schiavi africani ebbe inizio nel 1751 e si protrasse fino al 1842; in Argentina, negli anni ’70 del XVIII secolo fino al 1853. La più parte degli schiavi fu impiegata come manodopera e per il servizio domestico nelle città di Montevideo e Buenos Aires.
La comunità di colore, che nella prima metà dell’Ottocento comprendeva quasi un terzo della popolazione di Buenos Aires e di Montevideo, venne decimata, negli anni successivi fino ai primi del Novecento, dalle malattie dovute alle condizioni igieniche dei ghetti, dalla denutrizione, dal reclutamento militare di massa dei neri, molti dei quali perirono nella guerra della Triplice Alleanza (1865-1870), dai matrimoni misti e dalla febbre gialla del 1880.
Benché l’etimo della parola “tango” sia incerto, è verosimile che essa derivi da “tangos”, con cui, nel XIX secolo, si designavano i ritrovi dei neri, dove si danzava al suono della Cuerda, insieme di tre tamburi – piano, chico e repique – indispensabili per eseguire il candombe, musica fortemente ritmica di origine bantu.
Oltre al candombe, fondamentale nella nascita del tango è stata, attraverso la milonga, l’habanera ( = di Havana), danza in tempo binario che, secondo la maggior parte degli studiosi (Marcello Piras e Stefano Zenni in Italia), ebbe origine nel XVIII secolo a Cuba come elaborazione di motivi ritmici africani portati dagli schiavi in America Latina. Il ritmo dell’habanera si diffuse assai presto in Spagna e quindi in Europa, dove piacque ad alcuni compositori, come G. Bizet, che scrisse la celebre Habanera (dal 1° Atto della Carmen), ma anche e soprattutto nelle Americhe (si pensi a “Solace – A Mexican Serenade” del grande compositore nero statunitense Scott Joplin), raggiungendo il Rio del la Plata, dove si fuse con la payada, canto poetico caro alle genti delle campagne accompagnato da chitarra, flauto e violino. Dall’incontro dell’habanera con la payada si generò la milonga, un canto malinconico e triste di contenuto spesso amoroso, sempre amaro. La milonga e il candombe, musiche in cui è prevalente la componente di derivazione africana, fondendosi con le musiche colte e popolari di derivazione europea, hanno dato origine al tango, fino al 1910 chiamato “milonga con cortes”.
In origine, il tango veniva improvvisato nei postriboli, nelle taverne, nei bar, dove, al suono di orchestrine improvvisate composte da chitarra, flauto e violino (come nella payada), marinai, scaricatori, bulli di porto, povera gente, disperati europei, ebrei, giapponesi, ma anche africani, lasciavano alle loro spalle frustrazioni e nostalgie, abbandonandosi alle movenze sensuali della nuova musica, una musica fatta di ira, felicità, odio, passione, movimenti simbolici di una sessualità desiderata e mai soddisfatta (la composizione sociale nel Rio de la Plata era anomala, a causa della sproporzione fra maschi, oltre il 70% della popolazione, e femmine).
Una musica che, grazie all’opera di compositori argentini come Carlos Gardel, Osvaldo Pugliese e Astor Piazzola, creatore del “tango nuevo”, ha conquistato il mondo intero.
Una musica, però, che mai avrebbe potuto nascere senza il fondamentale contributo degli schiavi e dei discendenti degli schiavi di origine africana.
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