mercoledì, maggio 23, 2007

Tango trance

di Monica Nucera Mantelli

Occhi che si perdono oltre, in una dimensione altra. Guance che si sfiorano bagnando l’altrui verticalità. Passi che trasudano calore e adrenalina. Bacini che ritmano l’architettura del tempo. Tambor del ritmo negro che scolpiscono la melodia. Mani che si intrecciano, che posano, che marcano. Gambe che avvolgono, scommettono, rimpiazzano. I corpi di chi vive tango si fondono nel pilado e nel milonguero in una sorta di ipnosi che li rende quasi sonnambuli. Sono in trance, si direbbe. Viaggiano spazialmente. Ove il maschile e il femminile si tocca, si tange e si patteggia con botta e risposta, alimentando un’ energia reciproca.
In una danza che apre il dialogo al ricongiungimento con ciò che nella radice atavica del nostro esistere abbiamo tacitamente conservato: il desiderio di ricongiungimento. Alla terra, alla nostra identità. All’altro. Il ritorno alla fusione, all’Unità. E in questo rituale plastico spesso c’è aspirazione, a volte persino comunione spirituale. Forse guarigione. Forse perdizione. Visti dall’occhio vagabondo dei “non addetti ai lavori” i tangueri sono testimonianza impedibile del piacere estetico, appagamento sensuale del voyeurismo più puro. Certamente gli uomini amano anche guardare la coquetterie del femminile. E le donne? Le donne, sia quelle che vi partecipano attivamente, sia quelle che ne fruiscono da spettatrici sovente raggiungono una forma di estasi.
Nel tango il corpo è quello straordinario contenitore che libera dal pozzo nero dell’anima. Senza inutili e false digressioni intellettuali.


Ed è sempre il tango che ci offre una forma di comunicazione priva di parola, quindi più profonda del lessico stesso. Come sotto effetto di una droga che cattura, ci muoviamo, reagiamo, equivochiamo – sulle marche, sulle intese, sul feeling l’attrazione – obbedendo alla legge del tango, che sfugge ad ogni razionale comprensione e ad ogni analisi oggettiva. Bello, brutto, buono, cattivo. Se si balla bene e c’è intesa, va bene tutto e tra le tande solo la fatidica cortina interrompe o suggella il silenzio di un rito che si compie a due. Ma il vociare in milonga andrebbe quasi bandito. E’ una violenza all’atto che il corpo attua in sincerità: la parola in qualche modo è superflua, diventa un filtro della realtà, un qualche cosa che permette di nascondere con un filo di pudore l’aggancio immediato con chi ci è normalmente estraneo nel quotidiano - l’intima condivisione di uno empatico percorso temporaneo. Ma allora il corpo può essere ancora degno custode della verità?
Tutti sono concordi nel dire che il tango, agisce sul corpo, ed è ingrediente catartico, ovvero elemento di trasformazione dell’individuo. E fors’anche della sua personalità. Gli antichi raccontano che il centro di consapevolezza che è più vicino alla sua sorgente originaria è l’ombelico. Esattamente l’area del corpo che agisce sulla comunicazione silente che passa tra due ballerini di tango. Tutti si fermano a guardare i passi che fanno i grandi tangueri argentini, ma nessuno nota il rapporto energetico che passa attraverso i bacini. Siamo pronti a memorizzare le sequenze, incamerando pose e coreografie, ma nessuno che riesca a guardare oltre la superficie delle cose per capire cosa passa veramente.
Silvia Vladimivsky, coreografa nonché direttrice artistica del “Teatro Fantastico de Buenos Aires” lo ha capito molto bene e i suoi seminari di teatrodanza lasciano un segno di profondo cambiamento nel rapporto tra corpo – danza e interpretazione coreografica. La regista ha elaborato un modo tutto suo di far stabilire armonia in sé stessi attraverso il corpo e l’anima, con l’ausilio di vals, tango e milonga, liberando l’energia dei chakra. Collegandoci alla terra, alle radici. Ricordo aver imparato da lei a muovermi nello spazio ad occhi chiusi, fidandomi dell’altro, esprimendo la mia coreografia dell’anima e ascoltando pienamente ciò che il ballerino aveva da propormi. Finché un giorno, scendendo a un livello di coscienza quasi primordiale ho iniziato a sentire la comunione intima che riunisce chi balla tango. E ho iniziato ad essere più vera con me stessa, più conciliante con ciò che era altro da me.

Agire con il corpo nel ballo è come raccontare un racconto il cui finale può tradursi in uno stato estatico legato alla trance, in cui l’esprit, l’anima - e non la mente - è vera interprete. Ma be careful: la creatività e il cambiamento avviene se diventiamo capaci di lasciarci andare ai sensi, ovvero allo spirito. Non in modo lascivo, ma in modo sano, onesto. Questo vale per uomini e donne indistintamente.
L’immaginario creativo ha bisogno di nutrirsi di carne, di pelle, di umori. E’ così che l’eros, altra faccia di agape e philos (le tre declinazioni greche dell’Amore) si manifesta. E manifesta con esso la sua capacità di fare catarsi, ovvero di trasformare, di cambiare qualcosa nell’essere umano. Perché è proprio sotto, nell’abbandono della carne, che si lavora su di sé, connotando o mettendo in dubbio l’accezione della propria identità primaria. Ed è proprio la dissociazione dalla propria identità mentalmente controllata che permette il ridimensionamento dell’Ego, il volo dalle convenzioni, la fuga dagli status sclerotizzati, il godimento interiore e fors’anche la sopravvivenza nella società urbanizzata.

Potrebbe essere anche questa una delle possibili chiavi di lettura della “terapia” insita nella pratica del tango stessa: l’individuo posto di fronte ai molteplici ambienti sociali (famiglia, lavoro, amicizie) esorcizza l’angoscia e la solitudine rifugiandosi anche nel tango e plasmandosi alla seduzione del corpo. Il corpo nel tango diventa un corpo in trance, e quindi in trasformazione. Chi balla sa che si assottiglia il girovita nelle donne, si apre il petto nei ballerini, si diventa più armoniosi nella camminata.
Il tango può alterare il livello di coscienza delle persone che lo ballano e portarle in uno stato di meditazione attiva grazie alla commistione dei generi e delle composizioni ritmiche delle danze tribali che sono alla base della musica stessa.

Già è stato comprovato per altri balli popolari come la taranta o il samba da antropologi ed etnopsichiatri come Georges Lapassade ed Ernesto De Martino.
Lancio un appello a lorsignori: è tempo di farlo anche per il tango. Il tango, con la sua trance interiore, con la sua verità, con la sua straordinaria ricchezza multi e socio-culturale, ci potrà aiutare a lavorare su noi stessi e chissà, magari anche sulla società.

Tratto da TangoMagazine n.1

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