di Emanuele Enria
Nelle parole di questa canzone cantata dal celebre cantautore argentino Gardel sembra essere riassunto l’intero universo che anima il tango: una eterna malinconia, l’amore mai dimenticato, un triste e incommensurabile dolore.
Il tango nasce e si sviluppa verso la fine del diciannovesimo secolo nella periferia delle capitali del Plata, tra Buenos Aires e Montevideo, all’interno di un processo di urbanizzazione e immigrazione che porterà nelle due capitali milioni di europei in cerca di fortuna. Ma l’origine ritmica del tango (come rileva Meri Lao nel suo meraviglioso libro “T come Tango”, Melusina Editrice) viene attribuita a quell’inesauribile sorgente musicale che è l’Africa: infatti,
il termine tango sembra che indicasse il porto dell’Africa dove i trafficanti raccoglievano i cosiddetti “pezzi d’ebano” che venivano poi esportati. Un’altra ipotesi è quella che fa derivare la parola tango da “tambor”, tamburo, uno degli strumenti principe della cultura africana.I quartieri popolari nella zona del porto di Buenos Aires venivano chiamati “mandinga”, dal nome di una zona dell’Africa, il Mali, ma che nel Plata rappresentava il diavolo in persona. Allora, i “barrios mandinga” (quartieri mandinga) vennero chiamati “barrios del tambor”.
Con il tempo, il termine tambor subì delle variazioni fonetiche: nella pronuncia Kimbumba il termine tambor diventò prima tambo’, poi tango’ e successivamente tango.
Il tango nasce dall’incontro di razze e culture in trasformazione. L’urbanizzazione di fine secolo porta i contadini nomadi, i gauchos, nelle città sottraendoli per sempre alle loro origini nomadi; la politica liberale dal 1850 in poi apre le porte all’immigrazione, come sancito dalla costituzione del 1853, in cui si dichiarano aperte le porte “agli uomini del mondo che volessero abitare nel suolo argentino”. Nel giro di qualche decennio la popolazione di Buenos Aires aumenta di ben tre volte, e gli immigrati italiani sono i più numerosi: un milione e ottocentomila italiani solcano il confine argentino prima del 1914, seicentosettantacinquemila tra le due guerre e mezzo milione nel secondo dopoguerra. La percentuale di italiani sulla popolazione straniera fu di circa la metà nel censimento del 1895 e del 40% in quello del 1914. Le fonti argentine fanno ammontare a circa un milione e novecentomila il saldo migratorio italiano fra il 1871 e il 1973 che rappresenta dunque la metà degli stranieri insediatisi nel paese.
Alcuni quartieri prenderanno anche nomi italiani come Palermo, barrios abitato da siciliani e situato nella zona nord della città. E quanti sogni di questi uomini si infrangeranno tra le mura di Buenos Aires: partiti con la speranza di una vita migliore si trovano a vivere la stessa miseria che avevano tentato di abbandonare. Cresce così quel senso di malinconia, prende forma concreta la nostalgia, da “nostos”, ritorno al paese e “algia”, dolore.
E’ nei bordelli, nelle bettole dei quartieri popolari che si inizia a ballare questa musica. Prostitute, marinai, immigrati e ubriaconi gettano i loro pensieri in un ballo che racconta di loro. E’ tutto questo l’anima del tango, una musica, una storia, un pensiero, una nostalgia e, naturalmente, una seduzione…
Perché quando la musica inizia e per un istante gli occhi di un uomo e una donna si incontrano per abbondarsi in un ballo tutto il resto scompare.
In Europa il tango sbarca ufficialmente nel 1905 quando giungono alcuni spartiti musicali esportati direttamente dall’Argentina da Angel Villoldo, il quale tre anni dopo si presenta con un trio per incidere i primi dischi di musica argentina. In Europa sarà Parigi a divenire la capitale del tango: in questa città passeranno tutti i grandi nomi, le tendenze, i modi di ballare. E sarà la stessa capitale a dare al tango una pericolosa minaccia quando monsignor Amette, arcivescovo di Parigi, accusa il tango di essere un ballo “peccaminoso”. La questione arriva direttamente davanti al Pontefice, Pio X, il quale convoca a Roma due ballerini per accertarsi con i suoi occhi “dell’essenza peccaminosa di questo ballo”. La situazione si risolve con un assoluzione da parte del Pontefice e il tango riprende la sua strada come prima.
In Italia, i primi tanghi cantati si hanno intorno al 1925 in “Creola” (Ripp, 1925) e nel “Tango delle Capinere” (Cherubini/ Bixio, 1928) per arrivare agli anni parigini di Milva, quando, nel pieno del sua maturità artistica, cantava le musiche di Astor Piazzola lasciando gli spettatori completamente sedotti dal rosso fuoco che emanava quella musica.
Ed è proprio Astor Piazzola a segnare un nuovo corso per il tango: con le sue composizioni prende forma un nuovo genere di Tango, denominato “Tango Nuevo”, il cui lato innovativo può essere paragonato alle composizioni di Debussy nella musica classica.
Di Piazzola, figlio di un barbiere e di una donna di Massa Carrara, si dice che avesse un carattere forte e altero, impetuoso proprio come la sua musica ma che non lo aiutò certamente a farsi amare immediatamente dagli argentini, attacati da decenni al loro eroe Gardel. La sua vita oscilla tra l’Argentina, la Francia e l’Italia dove suonerà con Tullio De Piscopo alla batteria e Gerry Mulligan.
Ballare un pezzo di Piazzola è una sorta di sfida, perché il tempo cambia continuamente, gli strumenti si intrecciano in assoli dai suoni vertiginosi ed il suo bandeon, la vera voce del tango, ha momenti di lirismo intensissimo. Anche quando si esibiscono due ballerini professionisti, un brano di Piazzola richiede un approccio diverso.
Ma è forse questa la magia del tango: in ogni brano, anche lo stesso ma suonato da orchestre differenti, il movimento deve assumere un carattere suo proprio, l’unicità del gesto.
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