martedì, luglio 03, 2007

Innamoratango - di Monica Nucera Mantelli

Per una psicologia del transfert tanguero, La macchina infernale del desiderio

Ed eccoci finalmente davanti all’emozionante vagabondaggio di una fantasia ben decisa a rifiutare la frustrazione quotidiana dell’homo sapiens. Il transfert amoroso nel tango. Processo psichico per cui il paziente (tanguero/a emergente) trasferisce sul terapeuta (tanguero/a navigato/a) atteggiamenti affettivi prima rivolti verso altre persone. La sfortuna è che normalmente è un amore non corrisposto.
L’uomo, come scriveva Jung è essenzialmente “un sistema innato di preferenze e rifiuti” e il cuore, “macchina che predilige e disprezza, è il supporto della nostra personalità”. Ma anche della nostra sfiga.
L’amore in pista da ballo è una creatura indomita che nasce gradualmente ma inesorabilmente tra un cortado e un tango nuevo. Ci innamoriamo inconsapevolmente, incrociando i piedi sul parquet. Tra un gancio e un panino. E magari non avevamo neanche fame. Non ci invaghiamo di uno/a particolarmente bello/a, colto/a e magari ricco/a. No. Ci innamoriamo di chi ci fa ballare bene il tango. Di chi ci fa vivere quell’istanza, quella precisa emozione sottesa tra petto e ventre che trasforma tutto in romantica magia d’appartenenza, d’abbraccio, di condivisione.
Tra una stilla di sudore e una lacrima di commozione. In una sorta di rituale pari alle nozze mistiche. Come se si fosse coinvolti febbrilmente in una danza tribale di unificazione totale. Tutto per colpa di ‘sto benedetto tango.
E prima di essercene resi conto siamo già fusi come sole e luna, musicalmente e ritmicamente, con la nostra lei, con il nostro lui preferito. Agganciati a colui o colei che ci fa godere forsennatamente sulle composizioni di Di Sarli, Pugliese, Piazzolla. In preda ad un’emozione sconquassante che ci aggroviglia lo stomaco come ragazzini adolescenti. E magari tentiamo pure di darci un contegno, di non far trapelare il nostro bisogno spasmodico di ritrovare quel corpo, quel ritmo, quel tango. Ma continuiamo a cercarlo. A tornarci. A sperare che ci sia. In una elegante sala liberty, su un ciottolato metropolitano, in un palazzetto dello sport, dentro un capannone. A casa di amici compiacenti e ignari. E godiamo, sublimiamo, fantastichiamo su un ipotetico futuro che ci fa volare oltre la nebbia scombinata della cortina milonguera. Tra due sguardi che non si toccano, ma che si sentono. Nel desiderio assoluto del tango.
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