L’emozione
I maestri ballavano e io non li guardavo più, avevo perso interesse per quella lezione ma a causa di quel tango mi sembrava di essere dentro un caleidoscopio che attrae, che strega, che incuriosisce e, al tempo stesso, confonde…
Al termine della lezione, timidamente, mi avvicinai a loro e dissi:
«Angelo, come si intitola questo brano?»
«Tres Esquinas- rispose lui- e significa Tre Angoli»
Ed io «Tre Angoli? In che senso?»
«Nel senso di angoli di una strada, di un quartiere»
«Ah... Il barrìo!- pensai tra me e me- Parla del cosiddetto barrio…»
Come per tutti, anche io rimasi, all'inizio, attratto dai tanghi più vicini ai nostri tempi.
I tanghi rivisitati su basi elettroniche erano congeniali alle mie orecchie e il piacere delle milonghe consisteva nell'ascoltare qualcosa di diverso dai soliti “brani-scuola “delle lezioni. Brani di solito degli anni ’40, quasi sempre strumentali, eleganti, semplici… brani che mi sembravano concepiti solo per essere ballati.
Ma l’impatto con Tres Esquinas fu devastante, rappresentò in me una svolta epocale ovvero la cristallizzazione essenziale di quello che fu, nel tempo a venire, l’enorme interesse verso il tango nel suo aspetto musicale.
E poi la voce di Angel Vargas, che mi trascinava in un luogo lontano nel tempo e sembrava evocarmi tracce sbiadite di una vita precedente. Qualcosa di esistito, non so quanti secoli fa, e che mi chiamava soltanto attraverso la percezione dei suoni prodotti dalle parole, in quanto, allora, non ne comprendevo il loro significato.
Internet, feroce strumento d’informazione dei nostri tempi, fece il resto.
Tres Esquinas è un icona. Rappresentò a lungo il “mio” tango.
E spolverata la vecchia icona mi accorsi che sessant’anni non sono nulla. E’ stato ieri e sarà domani. Un'icona resta fuori dal tempo, non è vecchia, forse è antica, ma di sicuro il suo significato sta nell’immagine stessa che racchiude.
Il Testo
Elemento ricorrente nei testi poetici di molti tangos è il tango stesso che si racconta.
Un'entità astratta, un fantasma, un pensiero collettivo che diventa anima e parla, che ragiona, detta le regole del gioco e, nonostante esso sia un coacervo di bassi sentimenti popolari, si eleva a spirito.
Non è idolatria perché non è un oggetto. Non è santità perché non è divino.
E’ la liberazione dallo squallore del quartiere e sa diventare poesia. Il compadrito che affonda il pugnale non è più un delinquente.
L’amore per le donne che fioriscono come glicini e l’immagine di un umile barrio che dorme sotto la luna piena.
E le chatas, questi malandati veicoli da trasporto che dormono nel cortile, si trasformano in angeli di una povertà che, attraverso il tango, diventa un qualcosa di romantico e decadente.
Una curiosità: la daga, è il pugnale che i compadritos portavano allacciato e nascosto sotto la cinta. Naturalmente, negli anni ’40 la figura del compadrito era, credo, pressoché scomparsa, il testo quindi evoca un ricordo, come succede spesso nel tango, di qualcosa accaduto decenni prima.
Il testo, scritto da Cadicamo, diventa un corpo unico con la musica. E’ una poesia che resterebbe dimezzata senza l’arrangiamento di D’Agostino e la voce di Vargas.
Il cantores
Nato a Buenos Aires nel 1905, Angel Vargas non fu un cantores che si distinse per la grande qualità della sua voce, tanto meno si può sostenere che egli era il possessore di una tecnica invidiabile. Ma la sua permanenza nel ricordo del pubblico porteno è inamovibile. In Vargas riscontriamo una voce che si distingue nettamente dai suoi colleghi. A prescindere dall’orchestra con cui cantò, il suo timbro è inequivocabile ed inconfondibile.
Egli adottò uno stile di canto popolare, senza particolari effetti timbrici, ma limpido, sentimentale e intimo come un sussurro.
Il suo punto di riferimento fu Santiago Devin e, nonostante le tre stelle del pubblico porteno (Gardel, Magaldi e Corsini) fossero allora l'archetipo per i cantores, Vargas riuscì ad offrire sempre un'interpretazione personale e scevra dalle loro influenze.
Gli esordi avvennero sin da giovanissimo con le orchestre di Leandro-Martino, Josè Luis Padula e il leggendario Augusto Pedro Berto. Poi, nel 1932, infine l’ingresso nell’eccellente orchestra di Angel D’agostino, allora accompagnato dal violinista Rosario Mazzeo (entrambi siculo-argentini, lo dico con orgoglio!).
Passarono sei lunghi anni prima che il pubblico scoprisse le doti di Angel Vargas e prima che le società discografiche si convincessero a registrare la sua voce (1938).
Indimenticabili i brani “Adios Arrabal”, “Esquinas Portenas”, “Adios para sempre”, naturalmente sempre con l’orchestra di D’Agostino.
Angel Vargas morì a Buenos Aires a causa di un male incurabile nel 1959.
Eh già, le emozioni ke trasmette questo brano regalano... sogni d'oro!
RispondiEliminaUn regalo per Aliento y Donatella dal mio amico Newyorkese!
RispondiEliminahttp://it.youtube.com/watch?v=T2203qy8wwE