venerdì, ottobre 13, 2006

Io tango, con il tango


Si, io tango con il tango. Tango, ovvero tocco il mio ballerino. Non con le mani, ma coi piedi, giocando sulle finte, sui controtempi, in china e risalita, coprendo gli eventuali sbalzi di ritmo senza timore che possa finirmi sugli alluci. .Oddio, ogni tanto capita, ma accetto il rischio, perché in questo gioco di battute e stoccate c’è una parte così ironica che stuzzica quella golosa parte bambina di cui mi ero dimenticata.
Così, con le punte, io tango. Tangibilità, dal verbo latino “Tango-is – Tetigi –Tactum – Tangere”. Il riferimento alla lingua latina è doveroso. In italiano diciamo Toccare. Non è proprio la stessa cosa. TacTum, con la presenza delle due “t” specifica che Toccare è, nel contempo, Essere Toccato (vale anche il contrario: se Tocco, una persona o un oggetto, sono Toccato dalla persona o dall’oggetto). TANGO implica l’intenzionalità del toccare.
Toccare, abbandonarsi al corpo dell’altro. Essere CON l’altro. Essere NELL’altro. Stropicciandomi. Concedendomi. Anche nei piedi. Con generosità. Perdendo almeno qualcosa di me stessa per dare qualcosa all’altro. Questo donarsi a volte rende inevitabile ai più inesperti la sbandata passeggera verso un partner che permette nel suo tangere taumaturgico di ritrovare ciò che crediamo aver perso di noi. Ma non è così: è la magia temporanea del tango. È l’accoglienza e l’abbraccio di un ritrovarsi dopo aver tanto migrato, mi disse in una delle sue ultime interviste a Torino il compianto Carlos Gavito.
I corpi delle coppie si plasmano e si fondono in una sorta di ipnosi che li rende quasi sonnambuli. Trance, si direbbe. Come nelle altre danze tribali africane: il candombe, la conga, la rumba, la pachanga, il bailongo, il mondongo, il corimbo, la mandinga, ci ricorda Meri Lao. Danze dove il corpo si tocca, si tange e si contorce. Come sotto effetto di una droga che cattura. Uno stato raffinato di oblivion che ci offre l’opportunità di rimetterci in gioco ogni volta che il rito si consuma con una persona diversa. E così persone che in altri ambiti ci parrebbero di poco fascino o stimolo intellettuale, nel tango diventano necessari come un antidolorifico durante una colica. Ma attenzione, gli acciacchi tornano appena finito l’effetto.
Con la maturità, con la tolleranza, con l’ironia si impara a distinguere. Si impara a ricordare la nostra humanitas, il nostro essere imperfetti come confuse cellule di un brodo universale che tenta, come nel motore energetico di una milonga, di prendere la giusta ronda. Senza scandalizzarci più per i rivoli di sudore che intaccano trucco e abiti, e come gocce di emozioni impazzite, vagolano intorno ai nostri passi, percorrendo, tangendo, una, più parti del nostro corpo. Guance, naso, polsi, mani, braccia, gambe, caviglie. Persino seno.
Nel terzo millennio dove tutto, anche una relazione sentimentale, si consuma nello spazio di pochi secondi, smorziamo almeno gli stereotipi che non ci corrispondono più. Ci definiamo liberalizzati da tutto, ma siamo ancora in preda a troppi tabù. Crediamo di sapere cosa sia un corpo. Ci viviamo dentro tutti i giorni eppure è solo nel rapporto con ciò che è Altro da noi che impariamo a conoscerlo.
Magari con quella voglia di non prenderci troppo sul serio che invece caratterizza tristemente chi il tango non ha ancora capito cos’è.

Monica Nucera Mantelli

Tratto da Tango magazine

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